Google+

martedì 7 febbraio 2017

Amicizia ritrovata: Ricordi?



Avevo un bongo, eravamo insieme quando lo comprai, ricordi? Nella medina di Hammamet Jasmine solo negozi di souvenir e un gruppo d’italiani che si aggirava fra le bancarelle nonostante il caldo.
Qui devi contrattare sempre sul prezzo, mi dicevi, altrimenti i tunisini non si divertono, anzi si offendono pure, è una questione di orgoglio saper mercanteggiare, le cifre sono gonfiate apposta per poi abbassarle e rimaner contenti entrambi, commerciante e acquirente. Neanche a dirlo i più amati dai tunisini sono gli italiani. 
Amico non guardare cartellino, quello prezzo per stranieri, voi italiani prezzo a parte. 
Tutti conoscevano la nostra lingua, anche il ragazzino (10 – 12 anni) che mi ha venduto il bongo, io contenta della mia prima contrattazione andata a buon fine, lui che già lo sapeva fare come un adulto. Sul taxi il costo della corsa lo avevi stabilito tu, a me pareva assurdo mettersi a discutere per un dinaro in meno o in più. Invece no, la regola andava sempre rispettata, la contrattazione è anche un modo in fondo per studiarsi, capir se quella persona ci piace o no e, in caso, scambiare quattro chiacchiere. L’autista era un tipo socievole, si mise a parlare dell’Italia, conosceva tutta la formazione della nostra nazionale, avevamo da poco vinto i mondiali, bastava che gli dicevamo un nome e lui ci imitava il giocatore, Totti e il gesto del cucchiaio, un ruggito per Gattuso, e noi ridevamo divertite mentre lo guardavamo con apprensione distrarsi dalla strada. A un certo punto mi aveva chiesto se poteva vedere il bongo, quanto lo avessi pagato, si era complimentato per l’acquisto, aveva tolto le mani dal volante e iniziato a suonarlo mentre noi intonavamo canzoni pop italiane, sempre più allegre, con sempre meno paura che il taxi sbandasse nonostante la guida spericolata.

Sono state giornate spensierate, mare, piscina, gite nel deserto, uscite, pub, discoteche, i primi flirt raccontati nei minimi particolari. Eravamo inseparabili. Tornata dalla vacanza il bongo l’avevo messo all’ingresso della mia stanza. Il corpo era in terracotta dipinta nei colori della terra, la membrana di pelle di cammello, produceva alla percussione un bel suono profondo, sopra erano dipinti un cammello stilizzato e la scritta Tunisie. Era l’oggetto sempre presente nelle serate organizzate in spiaggia, suonato dal ragazzo di turno mentre noi cantavamo le nostre canzoni pop. 
E’ stato alla fine di una di queste serate che il bongo si è rotto per la prima volta. Tu eri già andata via da ore con uno che neanche conoscevamo bene ed io avevo dovuto trovare un altro passaggio. A casa sono inciampata su una pantofola e il bongo è caduto a terra. Ci sono rimasta malissimo, ma a quell’ora non potevo fare niente, ho messo tutto da parte e me ne sono andata a dormire. Il giorno dopo ho valutato il danno. Si era rotto solo il piede e i cocci erano grandi, è stato facile incollarli e non lasciare quasi traccia della rottura. La seconda volta sei stata tu a far cadere il bongo. Sei entrata di corsa nella mia stanza per raccontarmi non so cosa che ritenevi urgentissimo, forse la tua ultima giornata di shopping, lo hai urtato senza neanche accorgertene, se non per il botto. Mi sono arrabbiata da morire, te ne ho dette tante che te ne sei andata senza dire nulla. Ritrovata la calma, ho preso di nuovo Attack e cocci, stavolta più piccoli e numerosi, e ho incollato tutto, pezzo per pezzo. Ma le parti non coincidevano più, alcune si erano frantumate nella caduta e restavano dei vuoti, altre erano tenute insieme solo dalle corde che tendevano la membrana, il suono non era più quello di prima, eppure, il bongo stava in piedi. Ti ho chiamato, abbiamo fatto pace. La terza volta che il bongo andò in pezzi, fu per un tuo calcio. Lo avevi fatto apposta stavolta, alla fine del nostro ultimo litigio (i motivi con il tempo erano diventati sempre più pesanti), e te ne eri andata via. Non sono riuscita a mettere a posto i pezzi, troppo, troppo piccoli. Ho preso un martello e ho spaccato quello che restava, le parti tenute ancora insieme dalle corde, e ho buttato tutti i cocci. La membrana con le corde no, l’ho tenuta. L’ho appesa a un angolo della stanza, proprio vicino al letto, ogni tanto prima di dormire, leggo Tunisie e penso a quella corsa in taxi. 

Annalisa Balistreri