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mercoledì 30 novembre 2016

L'orecchio - da storie di ordinariato Adele Musso


La signora Carla cammina con la testa inclinata a destra, l’orecchio quasi le sfiora la spalla.
L’ho veduta stamattina, stesso ascensore del sovrappasso, stesso percorso. Lei è rapida con il suo impermeabile blu e un ombrellino richiudibile che le penzola dalla mano destra.
Nessun medico è riuscito a raddrizzarla. Fisiologicamente sana, nessun danno cervicale, nessun danno apparente, ma i dottori non conoscono la vita della Carla, e nessuno di loro si preoccupa di chiedere a una paziente: signora ma lei come si sente veramente?

La Carla è timida, forse rincantuccerebbe ancora di più la testa verso la spalla, quasi a chiudere la conchiglia dell’orecchio sinistro, nel gesto di una chiocciola che si ritira dentro il guscio.
Oppure starebbe buona buona e zitta zitta. Non è facile tirarle fuori le parole, lei è una ricevitrice non un battitore.
La osservo e ripenso alle chiacchiere del quartiere. Il marito le urla dentro quell'orecchio, lei dorme dalla parte destra del letto e lui le russa dentro. E urla oggi urla domani le si è spostata la testa, se la guardate bene anche i capelli non sono mai a posto e ha provato tanti medici e altrettanti parrucchieri, ma non c’è aggiusta ossa o bigodino che tenga, storta è e storta rimane.
E l’altro orecchio? Egoista o semplicemente cauto? Quello è un gran pettegolo, racconta alla spalla tutto quello che accade dall’altra parte anche se finge di non sentire, come se le cose non lo riguardassero. E se l’occhio destro non sa cosa fa il sinistro, un orecchio non può fingersi sordo.
Sono dietro di lei, tre o quattro passi, non di più, ipnotizzata dall'ombrellino segnatempo e a un certo punto inclino la testa, la piego lateralmente imitandola. Incurante degli altri, voglio guardare le cose da una nuova angolazione.
Poi mi raddrizzo di scatto.
La signora Carla è una donna di raro equilibrio, non lo si direbbe a guardarla. Lei è una dosatrice, che neppure un farmacista alchimista. Dosa pazienza e rabbia, la centellina e la gusta in solitudine, le si è raggrumata tutta sotto le ginocchia che la domenica mattina poggia tra la quarta o la quinta panca della parrocchia. La pazienza invece da anni dorme in mezzo al letto con loro.
A lui non importa per niente di avere una moglie storta, l’importante è che faccia ciò che deve e per quello bastano le mani e due gambe svelte e una voce tonante a dare ordini.
Lo sentono tutti nel quartiere, la loro casa ordinaria (come la nostra) dà su un ballatoio interno, dove s’affacciano appartamenti ordinari di poche stanze, stanno al terzo e quando lui starnutisce provoca uno spostamento d’aria che persino i bambini, lasciati nei balconi, sobbalzano.
La signora Carla sussulta ma si ricompone subito, con le mani liscia la sua gonna e riprende a tagliare cipolla e sedano, forse aumenta la velocità, ma è precisa e non si ferisce mai. L’orecchio appoggiato sul collo se la ride, a lui tutto arriva sommesso, e neppure lacrima mentre i vapori della cipolla s’alzano, quello è compito degli occhi.
Succederà tragedia dico a mia madre, lei al solito stira che forse glielo ha raccomandato il medico. Signora una due stirate al giorno, prima e dopo i pasti. A vapore mi raccomando.
Ma quando mai, è una vita che fanno così, lui urla e lei si torce.
Appunto, è qualche ora che non si sentono voci.
Sai che hai ragione. Posa il ferro da stiro che sfiata come una balena accaldata e si mette alle mie spalle, hai ragione.
Tra il fiato di mia madre e il colpo secco della cosa che vedo volare attraverso i vetri dall'alto verso il basso è un alito di tempo.
Restiamo entrambe immobili per un momento e con noi ogni finestra, le tende i chiavistelli e le verande abusive, lo sferragliare, lo spalancare e il rumore di cardini vecchi arrivano dieci secondi dopo.
Oh, Giuseppe e Maria, oh Gesù!
Mamma lascia stare i santi e la sacra famiglia, che mi sa che quella della Carla ha subito una sottrazione.
Ma che cosa è?
Supero l’orrore di quel sacco scomposto sul ballatoio, credo sia una delle morti più orribili. Guardo, respiro, non è la signora Carla.
Qualche stronzo che getta la spazzatura dal balcone.
Tutte le finestre sono occhi, siamo tutti con il mento verso il collo, girasoli dell’orrore verso il basso. Muti, per poco, poi i commenti da cinciallegre in gabbia.
Nemmeno ci fosse Sherlock Holmes, nel giro di mezzo minuto abbiamo individuato l’origine dello sputo informe e mentre mezzo isolato si riversa nel ballatoio, io vado a bussare alla porta della Carla, con mia madre attaccata alle spalle.
La porta è socchiusa, busso lo stesso. La targhetta sotto il campanello mi rivela il cognome di entrambi. Gli appartamenti sono tutti uguali, ordinari e prevedibili. Lei è seduta al tavolo della cucina piccola e ordinata, avverto l’odore di verdure appena tagliate, una pentola pronta per accoglierle. Mi pizzicano gli occhi, le cipolle. La signora Carla muove lo sguardo verso le sopracciglia, io cerco tracce del marito, il resto della casa è silenzioso.
Mia madre le si avvicina, non la tocca, si guarda in giro e sfiora una pila di biancheria ben stirata da riporre, penso che appena ho un momento la porto da un dottore, (ha una sindrome e questa prima o poi mi sballa).
È di là. Lo dice con l’orecchio, come se fosse possibile parlare attraverso un orecchio, quello che le poggia sul collo e pare abbia vita propria, (anch'io prenderò un appuntamento).
Seguo la scia di quelle parole e lo trovo, è seduto sul cesso, anche qui porta socchiusa, ha gli occhi strabuzzati, il viso chiazzato di rosso e una mano sui calzoni l’altra penzola e mi ricorda l’ombrellino blu. Un colpo, un infarto, non c’è sangue, solo puzza di merda, quella arriva forte e penetrante.
Mia madre si sta complimentando con la signora Carla, la sento chiederle se usa pezze di lino o di cotone sui pantaloni da uomo.
Appena mi vede tace.
Dal ballatoio arrivano voci, vastasi, le cose vecchie qua si buttano? Non c’è più mondo.
La signora Carla parla piano, osserva le carote e i ciuffi verdi, non usa verdure surgelate, le tolgo il coltello delicatamente dalla mano. Apro l’acqua e in un gesto automatico lo libero dai residui.
Quando ho capito che era morto, ho preso le sue cose e le ho messe dentro il sacco di quelli grandi neri, come lui, ho fatto quello che avrei dovuto fare anni fa, le cose che amava davvero le ho gettate dalla finestra, e in quel momento io ero dritta ve lo giuro.
Sarà stato lo sforzo.
Zitta mamma.
Non voglio più niente. Appena lo porteranno via, potrò dormire e girarmi sull'altro fianco.
Si alza getta le verdure dentro la pentola.
Noi andiamo, le dico.
Ha bisogno di qualcosa? Dice mia madre.
Chiamo le pompe funebri. Ho tutto quello che mi serve.
Non dimentichi di riporre la biancheria o si impuzzerà.

Adele Musso