Google+

venerdì 20 febbraio 2015

Santippe

Tutti noi conosciamo Socrate, il filosofo del ‘Conosci te stesso’, che vagava scalzo per le strade di Atene alla ricerca dei presunti sapienti cui mostrare che la vera sapienza risiede nel sapere di non sapere. Ma ben pochi conoscono Santippe, o meglio di lei è nota la sua stravaganza e la sua irascibilità, si dice infatti che Socrate stesse tutto il giorno fuori casa a filosofare perché aveva una moglie insopportabile, bisbetica e indomabile. Il filosofo Antistene racconta che Socrate riusciva a fare ragionare tutti fuorchè sua moglie, con lei a quanto pare la maieutica non attecchiva e non riusciva a ricordare alcuna conoscenza pregressa. Ma se è vero che dietro ogni grande uomo si cela una grande donna, forse anche Santippe merita una rivalutazione storica.
Socrate aveva il dono di incantare con la parola chiunque lo ascoltasse e di certo per Santippe galeotta fu la parola quando la udì fra la gente che si affollava nell’agorà. Ma è anche certo che la giovane donna non poteva sapere a cosa andava incontro…  Riuscite anche solo a immaginare come doveva essere stare con un uomo che era in grado di rimanere immobile a pensare giornate intere, senza né mangiare né dormire. 



‘Amore, ogni tanto controlla l’anatra sul fuoco, che io vado a spennare una gallina per stasera’. Regolarmente a tavola c’era anatra al gusto di bruciato, che Santippe doveva pure mangiare da sola perché Socrate era chissà in quale vicolo della piazza a bere con i suoi allievi. Perchè Santippe era una cuoca raffinata, ma non aveva nessuno con cui gustare le sue ricette. Per non parlare dell’educazione dei figli, un padre assente! Inutile chiedergli di passare del tempo con loro, li avrebbe solo confusi con le sue domande: “Cos’è la palla? Qual è la sua essenza? Esiste veramente o è solo una copia imperfetta di una realtà altra non visibile all’uomo?’ E ancora ‘Io so giocare con la palla perché già in un’altra vita ho giocato con essa e adesso si tratta solo di ricordare? Ma la parola palla che rievoca in me questi ricordi, indica l’essenza stessa dell’oggetto per cui ad esso corrisponde per natura questo termine che lo dice? Oppure è una convenzione umana che stabilisce che a quell’oggetto corrisponda proprio quel nome? Ma voi immaginate quei poveri bambini che volevano solo giocare? 
Pretendere poi che uno come Socrate si facesse pagare dai suoi allievi era utopia! A dire di Santippe, gli allievi erano così numerosi che sarebbero diventati ricchissimi. Le sue urla si sentivano fin sull’acropoli quando rientrando a casa, trovava bicchieri vuoti ovunque e delle scorte di cibo non c’era più alcuna traccia, persino i muri trasudavano di vino.
Un aneddoto di Diogene Laerzio racconta che un giorno Santippe, che già doveva essere gonfia di tutte le stranezze del marito, appena rincasata, cominciò ad inveire contro di lui che stava dialogando con i suoi allievi nel cortile di casa, e dalla finestra gli gettò sulla testa una brocca d’acqua. E Socrate, con quell’imperturbabilità che sola riesce a trasformare noi donne nella bestia nascosta e repressa dalle buone maniere, le disse: ‘Di cosa vi meravigliate: dopo il tuono, era inevitabile che piovesse.” 
Le donne del vicinato, che tante volte avevano udito ‘Questa casa non è un simposio!’ invidiavano la sua irriverenza verso il marito, non era da tutte a quei tempi potersi permettere di ribellarsi così al proprio uomo, certo Socrate aveva molte cose da farsi perdonare, per non parlare degli innumerevoli tradimenti legittimati dal rapporto educativo maestro – allievo previsto dalla morale greca. 
Santippe è diventata nel tempo la moglie bisbetica per antonomasia, Socrate il filosofo morto per un’idea. E se fosse stata proprio Santippe a far sì che Socrate accettasse, con quell’imperturbabilità che gli era propria, la condanna che lo innalzò a eroe del pensiero?

Eliana Macrì